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Il progetto artistico INNESTI dell’italiano Angelo Ventimiglia  arriva a NABLUS (Palestina).

Progetto di Angelo Ventimiglia

a cura dello Storico dell'Arte e pittore Ahmed Abualrob

10 Ottobre 2018

In occasione  della Giornata del Patrimonio Palestinese, che si svolgerà il 10  ottobre a Nablus (Palestina), l’artista calabrese Angelo Ventimiglia darà il suo contributo con l’installazione “Innesti”, saranno coinvolte nella manifestazione le autorità ministeriali e governative di Nablus.

La città fu fondata nel 70 d.C. circa, con il nome Flavia Neapolis in onore di Flavio Vespasiano, dall’imperatore Tito, in sostituzione dell’antica Sichem (che ne costituisce oggi il sobborgo chiamato Balata). Dopo la conquista araba (7° sec.) assunse il nome odierno; occupata dai crociati fra il 1099 e il 1187 che la chiamarono Napoli, alla fine della Prima guerra mondiale fece parte dei domini ottomani. Sono proprio queste origini romane e l’analogia con l’antica città di Napoli che catturano la sensibilità del Ventimiglia legatissimo all’identità dei suoi luoghi che rappresenta la chiave principale della sua arte.

HABITAT -  Opera di Angelo Ventimiglia

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SQUARE -   Opera di Luca Piscitelli

Quando fui invitato - dichiara  l'artista Angelo Ventimiglia - dallo storico dell’Arte e Pittore palestinese Ahmed Abualrob - rimasi piacevolmente colpito. Affascinato dal dover raccontare attraverso la mia arte l'identità di un popolo a me sconosciuto, per tradizioni e cultura. Cercai subito di imparare a conoscere questi luoghi, la loro storia, cercando un punto di contatto tra i due modi, apparentemente lontani. E non mi sbagliai, perchè da subito le mie ricerche posero l'attenzione sulla città di Nablus, le cui origini romane sono ben note. L’abito tradizionale  indossato dalle donne di questo popolo, richiama delle analogie con quello della cultura Arbëreshë e i costumi folcloristici del Meridione d’Italia. Altro aspetto che accomuna le due culture, è l'arte del ricamo che le mamme ed a loro volta le nonne hanno trasmesso alle giovani donne della famiglia. Io stesso sono testimone di questo sapere, poiché nella mia infanzia osservavo mia madre ricamare le lenzuola e le mie zie fare l’uncinetto con l’intendo di trasferire le tecniche alle proprie figlie. Mi piace pensare che le donne in passato anche senza saper scrivere, raccontassero la storia dei luoghi attraverso i ricami. Ed è proprio in queste similitudini che rivedo il mio popolo”.

Nella Palestina precedente al 1948, il ricamo è stato una forma di artigianato tradizionale praticato per lo più dalle donne dei villaggi come un modo per “preservare la propria identità”.

Dopo l’esodo di gran parte della popolazione palestinese del 1948, l’arte del ricamo è andata lentamente estinguendosi, diventando un lusso per gran parte delle famiglie della Palestina, oggi viene utilizzato nelle cerimonie nuziali. Attraverso i differenti ricami e colori si poteva distinguere da quale regione una donna provenisse, se fosse sposata e non o vedova, ogni regione della Palestina poteva avere dei richiami con motivi floreali, mitologici, animali o quelli geometrici.

Il costume tradizionale di Nablus si distingueva per una accesa combinazione di colori e tipologie di ricamo, erano inoltre disponibili molte stoffe, tra cui le sete di Damasco ed Aleppo nonché i cotoni di Manchester.

I ricami del Thobe (abito tradizionale dichiarato patrimonio dell’arte tradizionale palestinese), si intrecciano con l’espressione artistica  italiana nei bassorilievi metallici di Angelo, che  vengono saldati su una pianta che funge da “portainnesto”, in un punto costituito da una porzione di gemma o di ramo. Uno di questi ”innesti” è già visibile su un pino marittimo di Villapiana (CS) nell’ambito del MaVI, il Museo all’Aperto di Arte Contemporanea, ma anche a Serra San Bruno (VV).

Secondo Ventimiglia i ricami palestinesi sono come dei codici che ci raccontano la storia di questo popolo e le diversità dei luoghi, un linguaggio da custodire e continuare a preservare. La scelta di raccontare l’identità attraverso gli  alberi nel progetto "Innesti", va rintracciata, secondo la visione di Angelo, nel legame esistenziale fra l’essere vegetale e l’uomo, un legame di dipendenza fino all’ultimo respiro. L’identità non potrebbe esistere senza questo legame, e così neanche la vita stessa dell’uomo. L’idea di “Innesti” è quella di  fondere simbolicamente l’anima dell’artista con le cellule ed i tessuti della pianta, generando una compenetrazione appunto fra uomo e albero, tra arte e natura, tra passato e presente, preservando l’identità fisica e filosofica dei luoghi.

Angelo ci suggerisce una sua riflessione - “l’albero è la metafora dell’umanità, attraverso i rami possono collegarsi tutti i popoli  pur mantenendo le proprie peculiarità congiungendosi all’unità originaria - Identità e radici  i sinonimi della nostra esistenza”.

 

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